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Immagine del redattoreDott. Gianluca Rizzo

Cannabis sativa: dagli albori all’epoca moderna

Cannabis sativa è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle cannabaceae. Si tratta di una specie che vanta un ampio utilizzo storico da parte dell’uomo, tra le prime piante addomesticate in agricoltura.

Fino ai primi anni del secolo scorso, le coltivazioni di Cannabis sativa, conosciuta come canapa per i suoi scopi industriali, erano destinate all’utilizzo tessile per la produzione di vestiario, sacchi e corde, queste ultime erano le più utilizzate in ambito navale per la resistenza delle fibre. Il vantaggio non riguardava solo le proprietà meccaniche ma anche la facilità di coltivazione. L’Italia era una grande produttrice di fibre di canapa. La canapa, infatti, necessita di limitata irrigazione e cresce facilmente nelle più svariate condizioni climatiche.

Oltre allo scopo tessile, i semi di Cannabis sativa sono impiegati nella produzione di oli vegetali a scopo industriale e, se pur in misura minore, anche a scopo nutrizionale. In alcuni paesi erano tra gli ingredienti di preparazioni tradizionali popolari.



La messa al bando della Cannabis e l’evoluzione della regolamentazione

Nonostante il largo utilizzo della canapa, all’inizio del secolo scorso c’è stata un’ondata proibizionista associata al consumo di Cannabis sativa nella variante psicoattiva. La Marijuana, infatti, è una variante di Cannabis sativa con alte concentrazioni di sostanze psicotrope, e in particolare di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), che si forma per decarbossilazione spontanea al livello delle infiorescenze in seguito a esposizione al calore di altri cannabinoidi prodotti dal metabolismo secondario della pianta, come l’acido tetraidrocannabinolico. Questo significa che nei semi utilizzati a scopo nutrizionale non vi possono essere quantità rilevanti di sostanze psicoattive.

Purtroppo la prima messa al bando della Marijuana, che ha avuto origine negli dagli Stati Uniti per poi diffondersi nel resto del mondo, non ha posto le basi per una corretta distinzione tra canapa e Marijuana. A pagarne le conseguenze è stato tutto il comparto poiché le coltivazioni di canapa sono state sospese e progressivamente abbandonate. Più tardi, il bando ha subìto diversi aggiornamenti e, già durante la Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti hanno messo fine al proibizionismo per stimolare la coltivazione della canapa a scopo industriale come forma di recupero delle attività economiche. Il precedente storico però aveva gettato le basi di un mutamento che aveva portato alla sostituzione della canapa con altre fonti vegetali e con fibre tessili sintetiche.


Nella sua travagliata evoluzione, la storia della regolamentazione della Cannabis ha visto un continuo allentamento dei controlli sulle coltivazioni, fino ai giorni nostri (con sviluppi abbastanza recenti) in cui si discrimina definitivamente tra varietà con elevato tenore di THC (la cui coltivazione è vietata salvo specifichi permessi di ricerca) e le varietà con tenore inferiore allo 0,2-0,3% di THC, le cui sementi sono elencate e caratterizzate e la cui coltivazione è consentita senza specifici controlli. Esiste anche una varietà intermedia a scopo prevalentemente farmacologico.


L’uso di Cannabis a scopo nutrizionale

La minore o maggiore presenza di sostanze psicoattive deriva dalla varietà di Cannabis sativa e non da differenze di specie, come alcuni ricercatori avevano erroneamente suggerito considerando Cannabis sativa e Cannabis indica due specie diverse. Oggi, i chemiotipi (basati sul criterio chimico di classificazione che ha messo in secondo piano quello morfologico), sono denominati Cannabis sativa var. indica (Marijuana) e Cannabis sativa var. sativa (canapa). A dimostrazione dell’esistenza di un’unica specie, le varianti menzionate sono interfertili e possono essere incrociate per ottenere varianti intermedie sul profilo chimico.


Molte parti della pianta possono essere utilizzate a scopo alimentare. In Europa è consentito solo l’utilizzo delle varianti a ridotto tenore di THC sottoforma di semi tal quali, ridotti in farina o impiegati in processi estrattivi per ottenere olio alimentare. Altri sistemi di estrazione senza una storia tradizionale di utilizzo, pur se derivati dall’impiego di varietà a ridotto tenore di THC, dovrebbero comunque seguire l’iter di consenso dei Novel Foods, per consentirne l’immissione nel mercato e l’utilizzo in sicurezza. L’attenzione nei confronti di questa pianta si è tradizionalmente focalizzata sul contenuto di THC nonostante esistano più di un centinaio di cannabinoidi che possono essere ottenuti dalla Cannabis, con effetti farmacologici anche se non necessariamente psicoattivi. Va comunque precisato che la produzione di THC avviene nelle infiorescenze e non nel seme. Ciò significa che il contenuto di THC è estremamente basso anche in semi provenienti da piante ad alto tenore di sostanze psicoattive e la sua presenza dipende esclusivamente da inquinamenti per contatto con i tessuti esterni che lo producono.




Contenuto proteico

La canapa contiene tre frazioni principali di proteine vegetali: una componente di globuline chiamata edestina (la più rappresentata), una componente albuminica e una terza componente minoritaria. La qualità proteica, basata sul contenuto di aminoacidi essenziali e sulla capacità di assorbirli (detta digeribilità), è medio-alta ma equiparabile ad altre fonti vegetali come la soia. L’aminoacido essenziale meno rappresentato è la lisina, come nei cereali.


Tuttavia, la lavorazione del seme tramite decorticazione aumenta la disponibilità di aminoacidi essenziali e migliora la digeribilità grazie all’allontanamento delle fibre presenti nei tegumenti esterni. Esattamente l’opposto di quanto avviene nella trasformazione dei cereali, in cui la decorticazione aumenta la digeribilità ma comporta una perdita delle componenti proteiche che si concentrano nei tessuti scartati.

La cultivar Futura 75 è una varietà coltivata nel Mezzogiorno italiano e l’estrazione dell’olio dai semi consente di ottenere una farina di semi di canapa con un contenuto proteico che supera il 30% del peso secco.


La componente albuminica, rappresentata in percentuali minori rispetto all’edestina, ha delle caratteristiche molto interessanti perché mostra una struttura poco compatta e dall’elevata biodisponibilità per la presenza ridotta di ponti disolfuro (che normalmente limitano l’accessibilità degli enzimi digestivi all’interno della struttura proteica). Inoltre, non presenta attività di inibizione delle proteasi, altro aspetto che limita generalmente la disponibilità di proteine da fonti vegetali.

Altra caratteristica interessante è l’elevata presenza di arginina: un aminoacido dalle proprietà utili nelle malattie cardiocircolatorie perché favorisce il rilascio di ossido nitrico che consente il rilassamento dei vasi sanguigni e l’inibizione dell’aggregazione piastrinica, riducendo così la pressione sanguigna. Inoltre, il suo impiego nel recupero muscolare e nel combattere lo stress ossidativo è molto studiato nel caso degli sportivi.


La canapa come fonte di acidi grassi essenziali

I semi di canapa hanno un elevato contenuto di grassi, rapportabile a quello di altri semi e noci. Tuttavia, la caratteristica degna di nota è la presenza di frazioni elevate di acidi grassi insaturi, conosciuti per il loro ruolo benefico sulla salute. Questo implica anche un ridotto tenore di acidi grassi saturi che invece andrebbero limitati nella dieta. Un comune olio di semi di canapa contiene circa il 90% di acidi grassi insaturi, con un contenuto di polinsaturi che può arrivare all’80%. Si tratta delle quantità più elevate che possono essere riscontrate in natura.


Tra gli acidi grassi insaturi, troviamo l’acido oleico, un monoinsaturo omega 9 dalle documentate proprietà benefiche, molto studiato per la protezione cardiovascolare nel caso dell’utilizzo di olio di oliva. Il suo contenuto negli oli di semi di canapa può variare consistentemente in base alla varietà utilizzata (se consideriamo che le cultivar consentite nell’Unione Europea sono circa 120 di cui il 10% italiane). La varietà Finola, di origine italiana, è la cultivar che mostra il tenore più basso di acido oleico che non raggiunge il 10% del contenuto totale di grassi, rispetto al 20% che spesso si osserva in altre varietà. Tuttavia, mostra il contenuto più basso di grassi saturi e il più elevato di acido alfa linolenico (che arriva fino al 22%): un acido grasso polinsaturo essenziale della serie omega 3. La presenza di acido alfa linolenico è molto importante perché aiuta a bilanciare la proporzione tra omega 6 e omega 3 nella dieta. Questo rapporto dovrebbe essere di 3:1 – 5:1 secondo le proporzioni riscontrabili nella dieta mediterranea tradizionale. L’olio di semi di canapa mostra proporzioni che vanno da 2,5:1 a 5,5:1 e quindi ideali per mantenere il corretto rapporto. Tuttavia, è importante valutare l’apporto di grassi insaturi nel contesto della dieta e nel suo complesso. Un elevato apporto di omega 6 da altre fonti consentirebbe ugualmente uno sbilanciamento della proporzione di acidi grassi essenziali. Per questo motivo nelle diete vegetariane spesso si consiglia l’olio di semi di lino (con un maggiore contenuto di omega 3) per favorire questo bilanciamento in modo più immediato. Il maggiore contributo in componenti grasse dell’olio di semi di canapa è dato dall’acido linoleico, un acido grasso omega 6 che può arrivare a una frazione del 50%. Nonostante sia ampiamente documentato l’effetto benefico di questo grasso essenziale, rimane importante il bilanciamento con gli omega 3 già menzionato.


Va anche considerato che i semi di canapa contengono una porzione rilevante di acido stearidonico: un omega 3 intermedio del metabolismo degli acidi grassi essenziali. Poiché questo si origina dalla trasformazione dell’acido alfa linolenico che rappresenta un passaggio limitante di questa via metabolica, il suo apporto nutrizionale consentirebbe una più facile trasformazione degli omega 3 nei prodotti finali utili per le nostre cellule, bypassando le interazioni con gli omega 6 che dipendono dalla presenza di un'unica batteria di enzimi condivisa da entrambe le serie.


Altre caratteristiche nutrizionali e funzionali

Anche se il contenuto proteico e di grassi essenziali ha certamente attirato l’interesse biotecnologico dell’utilizzo della canapa, esistono altri aspetti nutrizionali e funzionali molto promettenti che meritano di essere menzionati. Nelle filiere di produzione di oli e farine spesso viene allontanata la componente esterna del seme per aumentare le caratteristiche di biodisponibilità e lavorabilità. Comunque, questa componente potrebbe essere recuperata grazie all’elevato contenuto di fibre insolubili. La canapa è una delle fonti a concentrazioni più elevate di queste fibre che hanno mostrato un effetto benefico sulla salute intestinale poiché favoriscono il transito intestinale, migliorano la sazietà e svolgono un’azione meccanica di prevenzione di malattie intestinali comuni in Occidente. È sicuramente un aspetto rilevante se teniamo in considerazione la progressiva riduzione del consumo di fibre nei paesi industrializzati.


Oltre alle fibre, la canapa può fornire concentrazioni discrete di calcio e molto elevate di ferro, particolarmente utili nelle diete vegetariane. Tuttavia, tali concentrazioni dipendono da molti fattori tra cui la varietà di canapa utilizzata e i metodi di coltivazione. Nel seme di canapa troviamo anche molte sostanze benefiche con effetti antiossidanti e antinfiammatori tra cui steroli vegetali, tocoferoli, policosanoli e sativamidi che hanno effetti potenzialmente benefici su malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Inoltre, la degradazione della componente proteica può generare biopeptidi con esiti salutistici, non soltanto per la loro azione antiossidante ma anche per effetti modulatori sui livelli di colesterolo e glucosio, sulla gestione della pressione sanguigna e della funzionalità sinaptica attraverso l’influenza sui neurotrasmettitori che agiscono nelle terminazioni nervose.



Sostenibilità ambientale e impiego alimentare

I semi di canapa possono essere utilizzati tal quale, ridotti in farina, come estratti proteici e olio, come già accennato. Il loro impiego ha mostrato interessanti risultati nel miglioramento delle caratteristiche reologiche e nutrizionali dei prodotti da forno, se inseriti in quantità adeguate che non ne precludono l’accettabilità. Inoltre, essendo scevri da glutine, possono essere impiegati per migliorare le caratteristiche di prodotti per celiaci, spezzo scadenti sul profilo nutrizionale. La coltivazione della canapa rappresenta un’alternativa vegetale ecosostenibile perché necessita di risorse limitate nella sua coltivazione ed è ideale per la rotazione dei campi grazie alla sua naturale rapidità di crescita ed esfoliazione che consente un limitato depauperamento del terreno e un migliore ripristino naturale delle sostanze azotate. Il grande limite rimane il pregiudizio verso una pianta che ha già dimostrato elevate potenzialità, alcune delle quali erano già storicamente sfruttate dall’uomo e altre che necessiterebbero soltanto di un’applicazione su vasta scala.


Dott. Gianluca Rizzo

Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina. Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.

 

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