Senza dubbio i paesi del Sud-Est asiatico hanno una millenaria tradizione culinaria per quanto riguarda il consumo di riso, non soltanto come alimento tal quale ma anche come materia prima per successive trasformazioni. Il riso può essere impiegato per ottenere birra e vino, brodi da miso fermentato o farine e impasti come quello per i mochi, dolci tradizionali giapponesi. Attualmente esistono oltre 140.000 varietà di riso coltivate nel mondo.
Il riso (Oryza sativa) è una graminacea che ha almeno 15.000 anni e cresce in ambiente paludoso, è il cereale più consumato al mondo: coltivato da almeno 7.000 anni, sfama la metà della popolazione mondiale. Le risaie vengono inondate con acqua dolce per assicurare le condizioni agricole necessarie per la crescita di questa pianta. Per la raccolta si ottengono delle spighe che contengono la cariosside del riso (il seme), processata per ottenere vari gradi di lavorazione fino al riso brillato (deprivato integralmente dei tegumenti esterni e del germe). Il riso brillato è facilmente conservabile e può essere cotto in tempi contenuti. Infatti, gli 8-10 minuti necessari per prepararlo possono arrivare a 30-40 minuti nel caso di un riso integrale.
Tuttavia, l’uso di un prodotto molto lavorato porta a consistenti perdite nutrizionali. Il riso brillato rilascia facilmente amido, caratteristica che consente la preparazione di risotti, ma che di contro aumenta la risposta glicemica e lo rende poco adatto per individui con alterazioni glicemiche per intolleranza glucidica. Il motivo risiede nella perdita della crusca esterna, rimossa per allungarne la conservazione. La lavorazione, oltre alla privazione dei tegumenti esterni, comporta anche la perdita dei sali minerali, delle vitamine e dei fitocomposti benefici che migliorerebbero il profilo nutrizionale del cereale. È noto che il beriberi, patologia derivata dalla carenza di vitamina B1, fosse molto diffusa tra i contadini della Cina rurale, costretti a consumare il riso brillato come unica fonte nutrizionale. Adesso sappiamo che si trattava di una patologia da malnutrizione facilmente scongiurabile con l’integrazione di altri alimenti o l’utilizzo di riso integrale, poiché la brillatura del riso comporta la perdita delle vitamine del gruppo B normalmente presenti nel chicco integrale.
Oggi l’esigenza di chicchi facilmente conservabili può essere soddisfatta attraverso la raffinazione della cariosside in seguito a procedimenti che sfruttano tecniche per consentire la migrazione verso l’interno di una parte delle sostanze preziose presenti nella crusca che in seguito verrà rimossa. In questo modo si ha il riso parboiled che mostra un colore ambrato, a testimonianza della presenza dei fitocomposti recuperati. La parboilizzazione determina anche una migliore resistenza del riso alle temperature e una mitigata risposta glicemica in seguito al consumo.
Nonostante il riso sia stato considerato un alimento povero, così come la polenta nella storia contadina dell’Italia settentrionale, è diventato un alimento indispensabile nella cultura culinaria orientale. Alcune di queste preparazioni – onigiri e hosomaki – sono ormai famose anche in Italia, grazie al successo del fingerfood e dei locali di cucina orientale, in particolar modo di sushi. In questo caso viene utilizzato una tipologia di riso glutinoso (anche se tecnicamente non contiene glutine) che rimane molto appiccicoso, a seguito della cottura per assorbimento, e permette una buona plasmabilità e tenuta della forma.
Tuttavia, l’Italia non è nuova al riso: timballi, crespelle, arancini, supplì, oltre ai più classici risotti, fanno del riso un alimento perfettamente coerente con lo stile Mediterraneo, introdotto presumibilmente all’epoca di Alessandro Magno. Nel territorio italiano si può apprezzare una produzione molto variegata di tipologie di riso (oltre 100 varietà) come Carnaroli, Arborio, Originario, Roma, Ribe, Vialone nano che si adattano a risotti e zuppe ma anche altre tra cui Basmati, Jasmine e Venere con il suo elevato contenuto di antociani che conferiscono il caratteristico colore nero-violaceo. Le qualità integrali, come abbiamo già accennato, necessitano di lunghi tempi di cottura ma l’utilizzo di una cuoci-riso programmabile può essere una soluzione interessante per chi ha la passione del riso non lavorato.
Forse non tutti sanno che l’Italia è il principale produttore europeo di riso con quasi 1,5 milioni di tonnellate all’anno, mentre Cina e India coprono circa il 50% della produzione mondiale di 750 milioni di tonnellate. In un primo momento, in Italia il riso era utilizzato sottoforma di decotti e metodi curativi riservati ai ceti più elevati. Solo dopo la reintroduzione, avvenuta grazie agli arabi, il cereale acquisì un interesse alimentare con le prime coltivazioni in terra di Sicilia ma con un ampio sviluppo nelle risaie della Lombardia. Grazie alla diffusione mondiale del riso, troviamo il suo impiego in diversi piatti tradizionali come il pilaf afghano, i dolma levantini, il biryani pakistano o la paella spagnola. Tra le caratteristiche del riso, l’assenza di glutine consente il consumo in sicurezza anche da parte di individui celiaci. È inoltre uno degli alimenti con minor potere allergenico, altamente digeribile e quindi adatto per chi soffre di allergie o di disturbi gastrointestinali.
Il riso è uno degli elementi della dieta BRAT (banana-rice-apple-toast), efficace per la rapida risoluzione della diarrea cronica e dei fastidi gastrici nei bambini, essendo un approccio a ridotto tenore di fibre. Anche se la sua produzione può essere considerata una monocultura, la sua coltivazione è riuscita a integrarsi molto più di tante altre produzioni agricole. Studi ecologici hanno mostrato come le risaie si siano integrate nell’ecosistema, favorendo una diversità sostenibile di fauna e flora. Si tratta di un fenomeno quasi unico poiché molte coltivazioni, specialmente quelle destinate alla produzione di mangimi per il settore zootecnico, sono attualmente al centro del dibattito ecologico per il disboscamento causato dalla necessità di spazi agricoli sempre più estesi in risposta alla domanda produttiva. Tra le sostanze di interesse nutraceutico, il gamma-orizanolo presente negli olii della crusca di grano sembra avere un ruolo antinfiammatorio e nel contempo mitiga anche i livelli di colesterolo. Il riso è stato impiegato come possibile alimento per la fortificazione, allo scopo di risolvere le carenze vitaminiche delle popolazioni di paesi a basso introito economico. Esistono numerosi dati scientifici che dimostrano la sua efficacia nel far fronte a carenze nutrizionali di ferro, vitamina A e vitamine del gruppo B. Non mancano i risvolti culturali del suo impiego nei riti religiosi, non soltanto delle confessioni animiste ma anche di correnti più occidentali; ad esempio la tradizione di lanciare il riso agli sposi, dopo la celebrazione del matrimonio, è un augurio di abbondanza, prosperità e fertilità.
Curiosità: il riso selvatico, erroneamente annoverato tra le qualità di riso, deriva invece da una pianta erbacea chiamata Zizania; adatta a climi più freschi, cresce spontanea ma era già coltivata in America dalle popolazioni precolombiane ed è oggi adottata come simbolo del Minnesota. Il riso africano è invece imparentato con il riso comune ma anche in questo caso si tratta di una qualità differente (Oryza glaberrima).
Dott. Gianluca Rizzo
Biologo Nutrizionista, Dottore di Ricerca in Biologia e Bioteconologie Cellulari. Master in Integratori Alimentari, Perfezionamento in Nutraceutica. Docente in corsi di formazione ed ECM, fa parte del corpo docenti del Master Universitario in Fitoterapia e del Master in Fitobiologia, Nutraceutica e Prodotti per la Salute di Messina. Autore tuttora attivo, come ricercatore indipendente, di pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali a revisione paritaria.
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